
Giordano BRUNO. Una sintesi della vicenda di un pensatore che per coerenza finì la sua vita sul rogo a Roma in Campo de' Fiori.
In ogni epoca il libero pensiero, per sua stessa natura, non può che rafforzarsi nell’ascolto delle opinioni altrui traendo dalla molteplicità delle convinzioni punti di convergenza, pur nel reciproco rispetto. In contrapposizione il pensiero unico, peggio se fondato su dogmi imposti per fede e non per fatti, trova nella emarginazione la sua difesa. A Roma, nella piazza di Campo De’ Fiori vi è il monumento a Giordano Bruno, già frate domenicano, che in quel luogo fu arso vivo nel 1600 a seguito della condanna per eresia e dopo un lungo processo davanti all’Inquisizione. Un evento tragico ad opera di una Chiesa cattolica che ha ritenuto in un lungo periodo della sua storia di poter difendere la propria ortodossia macchiandosi di crimini legalizzati dall’accusa di eresia. Un metodo che nel tempo si è riversato sulla Chiesa stessa immortalando i suoi critici nella Storia e lasciando alla Chiesa solo il biasimo per i fatti avvenuti. Il caso di Giordano Bruno, la cui condanna ed il rogo sono ancora oggi simbolo di una libertà di pensiero che sopravvive nei secoli, ne è l’esempio più richiamato. In effetti Giordano Bruno era stato molto pericoloso per la cristianità romana perché con la sua critica e con il suo pensare, profondo ed al di fuori degli schemi dell’epoca, contestava totalmente le ragioni dell’esistenza della religione stessa attaccandola nei suoi concetti basilari e cioè il prevalente riferimento alla figura del Cristo stante l’ineffabilità di Dio. Vediamo comunque la storia di questo frate che nacque a Nola (Napoli) nel 1548 ed a 17 anni entrò in convento come domenicano. Benché giovane, Bruno si accorse subito che il suo pensiero poco si adattava alla teologia ufficiale ed ai dogmi che, dopo il Concilio di Trento, erano stati irrigiditi ed avevano escluso che le coscienze individuali potessero elaborare proprie convinzioni. Lo scopo era di impedire nuove deviazioni e critiche all’operato della Chiesa come era già avvenuto con Martin Lutero e la conseguente affermazione del Protestantesimo. In questo periodo repressivo mal si collocava la figura di Giordano Bruno in quale, conscio del pericolo che correva, preferiva definirsi filosofo volendo “riportare la luce nella cristianità” ma in realtà ne criticava fortemente i dogmi nonché i metodi. Giordano Bruno piaceva per le sue idee del ritorno alla religione antecedente al Cristo che in pratica significava l’abolizione del Cristianesimo che diceva essere relativo ad un evento terreno (il Cristo) e non riferito all’universo cioè all’intero Creato. Era un personaggio e come tale si manifestava durante le sue dissertazioni. Acquistava molto credito per il modo con cui esponeva le sue tesi che andavano a colmare il vuoto culturale imposto dal Concilio di Trento. Contestava l’unicità della Terra come mondo abitato, citava le teorie di Copernico, si diceva che esercitasse l’antica arte della magìa. Anche se frate domenicano, contestava la Trinità e, ormai in pericolo evidente, lasciò il saio e Napoli per trasferirsi all’estero per cui andò in Germania per insegnare le sue tesi nella patria del Calvinismo a cui nel frattempo si era convertito. Ma anche qui il suo carattere insofferente e le sue reazioni scomposte ben presto lo misero in contrasto ideologico. Dopo aver abiurato il calvinismo si trasferì in Francia ove scrisse un trattato sulla memoria. Insegnò anche in Inghilterra, all’Università di Oxford. Giordano Bruno era dotato di una forte memoria che gli permetteva di spaziare su ogni argomento, era ricercato da tutte le corti europee per le sue tecniche mnemoniche, per la sua cultura, per i suoi insegnamenti filosofici. Sponsorizzava bene se stesso, era richiestissimo, ma ovunque andasse, come in Germania, Oxford e Parigi, il suo carattere lo tradiva e veniva costantemente allontanato. Infine Giovanni Mocenigo lo chiamò a Venezia per imparare le sue tecniche sulla memoria e Bruno accettò l’incarico per bisogni economici ben sapendo del pericolo che correva essendo stato scomunicato. Venezia era lontana da Roma, si era sempre mantenuta distaccata dalle pressioni del Papato ed inoltre sembrava che il nuovo Papa (Clemente VIII) fosse più moderno e Bruno sperava di incontrarlo per ottenerne il perdono. Ma avvenne che il Mocenigo, non essendo rimasto soddisfatto dell’operato di Bruno, gli contestò di essere presso di lui per divulgare le sue tesi filosofiche e non per insegnare le tecniche mnemoniche per cui era pagato. Convinto che Bruno volesse lasciarlo per tornare in Germania per aver assunto altri incarichi, indignato lo denunciò all’Inquisizione come nemico della Chiesa. Da qui iniziarono anni di carcere a Venezia, lo studio dei suoi oltre 40 libri da parte della Commissione inquirente, le lunghe indagini, gli interrogatori, i finti pentimenti ed infine, a luglio del 1592, quando sembrava che Venezia non volesse più procedere contro di lui, da Roma venne la richiesta di estradizione che fu concessa e quindi ci fu il trasferimento nelle carceri romane. A Roma però l’inquisitore era Roberto Bellarmino, teologo e gesuita, autore di testi teologici, esperto nella discussione, un inquisitore difficile da confondere con le false ritrattazioni e le tesi che Bruno definiva filosofiche e non teologiche. Il processo presso l’Inquisizione fu lungo, fatto di compromessi e proposte con cui il Bellarmino cercava di ottenere l’abiura totale delle sue tesi da parte del Bruno. All’Inquisizione non interessava la condanna fisica del Bruno bensì l’abiura dalle sue tesi che sarebbe stata la vera vittoria, l’eliminazione perpetua della teoria avversa. Bruno aderiva alle proposte ma poi poneva condizioni e così si era andati avanti per anni. Infine Bruno accettò l’abiura ma poi ritrattò con una lettera al Papa e scelse di andare al rogo per non rinunciare a se stesso confermando la sua posizione anche nell’ultimo interrogatorio, estremo tentativo del Papa di evitare un esito inutile della vicenda. Il 17 febbraio del 1600 a Campo de’ Fiori “ l’eretico impenitente” Giordano Bruno viene arso vivo e l’evento lo consegnò alla Storia come emblema del libero pensiero ma anche per le sue idee sul mistero della Creazione, del Dio al di sopra della natura e pertanto indescrivibile ed inimmaginabile. Alla fine dell’ottocento esponenti anticlericali massonici (particolarmente Adriano Colocci di Jesi) si fecero promotori dell’erezione di una statua alla memoria di Giordano Bruno nel luogo della sua esecuzione. Ne conseguì un notevole scontro con il Papato ed il mondo cattolico ma, dopo modifiche all’espressione da dare alla figura, essa fu realizzata con autore Ettore Ferrari, poi gran maestro della massoneria. Non più lo sguardo di sfida che in vita gli era abituale ma il cappuccio calato sulla testa, il volto scuro nel bronzo. Giordano Bruno resta il simbolo luminoso di un pensatore che sacrificò la propria vita in nome della coerenza e del rifiuto della vita indifferente.

