LA CADUTA DEL REGNO DI NAPOLI: Lo scenario
(desunto da letture ed in particolare da una pubblicazione di A. Caruso)
C’è molto da analizzare sulla fine del Regno di Napoli, sulle motivazioni che ne hanno corroso la struttura e sull’incognita che, in generale, esisteva nei “regni” sulla qualità di coloro a cui venivano affidate le sorti di un popolo per esclusivo diritto dinastico. Forse nel Regno di Napoli di Francesco II vi è stata la concomitanza di eventi in un contesto internazionale in cui si attuavano strategie che andavano ben oltre la capacità di capire e di reagire del debole Re. In realtà, come poteva un giovane di 24 anni privo di un’adeguata preparazione competere con il Cavour, tessitore di trame internazionali, e con il carisma di un guerriero esperto come Garibaldi? In quei tempi l’intero scenario del Regno era investito dall’azione demolitoria dell’ideologia mazziniana, dalla staticità di un sistema organizzativo fondato sul potere dei proprietari fondiari, da una nobiltà alla continua rincorsa dei titoli e delle rendite connesse, da una borghesia a cui la staticità organizzativa ed economica garantiva il benessere anche ereditato. La gerarchia militare non era esente da nomine assegnate più per anzianità che per merito con poca voglia di esporsi preferendo il non fare. Molto grave la rinuncia all’azione e l’incapacità, o addirittura l’apatia, verso l’azione bellica. Su tutto aleggiava la prospettiva del nuovo sistema, la Nazione italiana, per il quale le classi agiate già dimostravano opportunistiche simpatie mentre il popolo sperava di ottenere da essa un minimo di sollievo dalla miseria in cui era relegato. Questo scenario, l’affascinante idea di un Garibaldi liberatore, la debolezza del Re, favorirono l’invasione da parte di una forza militarmente esigua, scarsamente equipaggiata ma costituita da persone motivate, che poté viaggiare tranquillamente nel Tirreno per sbarcare in Sicilia e poi calpestare il suolo del Regno per giungere quasi alle porte di Roma. E così fu la fine del Regno delle due Sicilie per la quale gran parte della responsabilità è storicamente ricaduta su Francesco II (Franceschiello) e sulla sua assoluta mancanza di capacità decisionale. Ma la responsabilità fu di tutto il sistema ereditato, specialmente i vertici militari che, nella battaglia decisiva del Volturno voltò le spalle ad un Re che finalmente aveva capito che la sua presenza in battaglia esaltava le truppe. Dopo che il generale Lanza consegnò la Sicilia a Garibaldi e questi si dichiarò dittatore, quando la violenza di Nino Bixio incominciò ad emergere (eccidio di Bronte), quando fu istituita la leva obbligatoria che toglieva forze alle famiglie contadine, quando fu chiesto di pagare le tasse ad un re sconosciuto, qualcuno cominciò a ricredersi. Non la nobiltà che si era adeguata ma il popolo deluso. Era ormai troppo tardi e qui è intervenuta la Storia che ha etichettato il nuovo malessere facendolo rientrare nel “brigantaggio”, una definizione inopportuna e fuorviante che ha voluto giustificare gli eccessi repressivi compiuti dal nuovo esercito italiano verso coloro che ora facevano parte della stessa Nazione unita.