Storia della pandemia COVID 19 (parte seconda) di Renato Gioja.
Analizzando l’impatto della
pandemia sull’organizzazione dello Stato, alla fine del 2020 c’erano alcuni mesi
di tempo per fare fronte alle carenze che erano già emerse e che quindi erano
note in particolare nei trasporti e nella scuola che, essendo luoghi di
assembramento, erano punti sensibili da proteggere. Forse aveva prevalso la
speranza che il virus avesse perso la propria vitalità per cui nulla fu fatto
in merito ma, peggio, ad ottobre 2020 la scuola riprese tranquillamente in
presenza anche perché si rassicurava che i giovani non venivano attaccati dalla
malattia e sarebbe bastato il distanziamento in aula per evitare la
trasmissione del contagio. Famosi furono i cosiddetti “banchi a rotelle” che,
essendo mobili, avrebbero facilitato il controllo della distanza tra gli
studenti. In realtà la scuola aveva bisogno di reperire nuove aule per
diminuire il numero di studenti per classe nonché vi sarebbe stato bisogno di
altri insegnanti ed invece arrivarono i “banchi a rotelle” e la satira che ne
conseguì. E così iniziò il 2021 e ripresero fortemente contagi e decessi mentre
i medici di base, in applicazione delle direttive ministeriali, consigliavano l’uso
della tachipirina in caso di febbre. La prescrizione telefonica era “Tachipirina
e vigile attesa” e si lasciava che il virus progredisse nei polmoni senza
ostacolo alcuno. Quante vite si sarebbero potute salvare se il sistema medico
fosse intervenuto con rapidità bloccando la malattia con antibatterici, antinfiammatori,
antivirali? Ma i medici di base non erano autorizzati a fare diversamente e
pochi si assumevano la responsabilità di un intervento autonomo. In TV era un
susseguirsi di talk show sull’epidemia, i virologi divennero affermati o
discussi personaggi televisivi, si sviluppò il lavoro a casa erroneamente
definito “smart working” al posto di “telelavoro”. Le Regioni venivano
etichettate dal giallo al rosso a secondo la capacità di risposta del sistema
sanitario regionale, ora i giovani non erano più immuni dalla malattia ma solo
dai 18 anni in giù. Ciò che mancava all’informazione
era l’accesso ai reparti COVID degli ospedali, non ammesso, ma sarebbe bastato
qualche trasmissione televisiva per far capire alla gente la vera realtà della
malattia, cosa significasse respirare con la testa in un cilindro a cui era
legato il proseguimento della propria vita, l’attesa della visita quotidiana dei
medici e l’eventuale incremento la quota di ossigeno nel cilindro o il trasferimento
in terapia intensiva. Tutto il giorno da trascorrere in un’attesa preoccupata,
il pensiero rivolto ai familiari con i quali non vi erano più stati contatti
dall’ingresso in ospedale, la speranza di un pur minimo miglioramento. Non di
meno era la cura a casa, ove resa possibile dalla coscienza e dalla determinazione
del medico di base, restando il pensiero fisso sulla temperatura che poteva
all’improvviso salire come anche il frequente controllo dell’ossigenazione con
il saturimetro. Un contagiato COVID è in ansia continua perché non sa se e quando
il virus potrebbe intaccare le cellule e questa situazione dura fino alla
negativizzazione per la quale non si ha neanche una scadenza presunta. E mentre
il virus imperversava, nei talk show televisivi si continuava con le chiacchiere.
Ciò che veniva omesso era che i “guariti” erano tali solo perché dimessi dagli
ospedali ma nulla si è mai detto sulle loro condizioni fisiche e mentali e
sulla necessità di lunghe terapie riabilitative che potevano anche non essere
risolutive. Comunque finalmente a Dicembre
2020 arrivarono i primi vaccini e così gli “esperti” ci spiegavano che i vaccini
americani Pfizer e Moderna avevano la capacità di impedire che la proteina
spike del virus attaccasse le cellule del sistema respiratorio. In linea
generale si diceva che la produzione di un vaccino in così breve tempo era
stato un grande sforzo della ricerca scientifica che aveva raggiunto risultati
per i quali abitualmente erano necessari almeno due anni. C’era anche il vaccino Astra Zeneca,
anglo-svedese, che invece aveva adottato il sistema tradizionale del contagio a
bassa valenza e la TV intervistava il responsabile della fabbrica di Pomezia
come se fosse una vittoria italiana. Poi fu triste scoprire che il vaccino
Astra Zeneca, benché utilizzato nel mondo, poteva provocare conseguenze anche
gravi in alcuni soggetti. L’Unione europea aveva acquistato subito milioni di
dosi del vaccino Pfizer ma, chissà perché, il contratto era stato secretato. A sorpresa, si dichiarava ora che
i giovani erano soggetti al contagio come tutti. Si proseguiva con le Regioni
colorate secondo la capienza sanitaria, si discuteva in televisione, si
litigava, era sorto un movimento no-vax che scendeva in piazza ogni sabato. Il virus
mutava ed ora la variante Delta era prevalente. Si chiariva che il vaccino non
preservava dalla malattia ma ne attenuava comunque la gravità e non bastava una
dose ma bisognava replicarla e poi ancora fino alla terza ed attualmente non si
se ne conosce il seguito. La popolazione era disorientata. Praticamente il
Comitato Tecnico Scientifico, consulente del Ministro della Salute, aveva smentito
sè stesso in più occasioni. Nei confronti dei bambini ora si dichiarava che non
erano esenti dal contagio ma dovevano essere vaccinati. Attualmente siamo alla variante
Omicron, più contagiosa ma meno grave con raffreddore, tosse e mal di gola e,
se più pesante, con conseguenze intestinali e dolori diffusi (Omicron 2). Ma cosa abbiamo imparato in Italia da questa
pandemia? Grandi polemiche, ora misteriosamente
spente, sul mancato aggiornamento dei piani pandemici sulla SARS2 ; il sistema
politico ha mediato tra i provvedimenti evitando decisioni drastiche che
potessero compromettere l’economia anche in presenza di migliaia di decessi ; l’eccesso
di provvedimenti successivi che ad un certo punto hanno intaccato la
credibilità dei precedenti ; la comunicazione che ha trattato i malati ed i
deceduti più come dati statistici che come persone ; l’invadenza del sistema
televisivo che ha colto la possibilità di utilizzare la pandemia per fare spettacolo
e creare personaggi e tanti provvedimenti criticabili. In conclusione, abbiamo forse
capito quanto in realtà sia debole la vita umana già sottoposta al pericolo degli
armamenti atomici e che riceve ora avvertimenti dalla natura la cui alterazione
può significare il nostro suicidio. Certo è che il virus lo abbiamo creato noi
stessi intervenendo sulla SARS2 ma nessuno chiede decise spiegazioni sul motivo
della modifica biologica effettuata e forse sfuggita al controllo. Il segreto è
massimo. A ciascuno la propria considerazione.