Ing. Gianfranco Castellano. Il terremoto in Irpinia del 1980. (parte 2^).
Terremoto in Irpinia domenica 23 novembre 1980 alle ore 19.20. Parte 2^. (QUI per andare alla parte 1^)
Dopo il viaggio avventuroso per raggiungere l’area di Conza della Campania, l’ing. Gianfranco Castellano, partito immediatamente da Roma verso le zone terremotate dell’Irpinia nel 1980, descrive la situazione trovata ed il suo prodigarsi negli aiuti anche assumendo un ruolo di coordinamento e mettendo a disposizione della popolazione e dei soccorritori le strutture del cantiere della diga in costruzione.
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Ore 12.30 – Proseguo sull’Ofantina in direzione di Conza. Tra Lioni e Morra de Santis all’altezza dello svincolo di Morra e di Teora non si può procedere in auto, le scosse hanno creato uno scalino di 50 cm sulla strada Ofantina tra il rilevato ed il viadotto. Ci sono 5 - 6 auto ferme, bloccate. Invito gli occupanti a darmi una mano per costruire una piccola rampa con pietre raccolte per poter scavalcare e proseguire ma solo alcuni dei presenti aiutano mentre altri si limitano a guardare. Desisto dall’intento mentre giunge, dalla parte opposta, una macchina del nostro cantiere con il rag Angelo Marinosci e l’assistente Antonio Arsena per cui lascio la mia macchina, una Alfetta che riprenderò dopo qualche giorno. Incontro il geom. Cappelletti con la moglie e tutti insieme andiamo verso il cantiere. Lo scalo ferroviario di Conza è un cumulo di macerie. Cappelletti mi conferma che sono morti a Conza due giovanissimi impiegati del cantiere, il rag Raffaele Farese ed il geom. Angelo Petrozzino, e sei operai tra cui sig. Cappetta che abitava vicino al Comune. Farese e Petrozzino erano stati insieme nel pomeriggio ad Avellino per vedere la partita di calcio ed al momento del terremoto erano appena tornati a Conza nelle rispettive case. Loro due sono morti e le giovani mogli con i figlioletti piccoli si sono salvati.
Ore13.00 – La Direzione del cantiere, costituita da baracche metalliche, non ha subito danni salvo il ribaltamento degli armadi negli uffici. Le opere a prima vista hanno danni limitati. Si accerterà in seguito che la base della diga, lunga 800 metri e disposta quasi lungo un raggio dell’epicentro del terremoto (la Sella di Conza, abbassatasi di 74 cm.) ha subito un dislivello tra le due “spalle” di 15 cm. Dico al capo cantiere geom. Cappelletti, di aprire tutte le baracche e gli alloggi e metterli a disposizione degli abitanti di Conza superstiti. Guardando verso l’abitato di Conza vedo uno spettacolo allucinante, un cumulo di macerie. In cantiere mi avvicina uno dei Petrozzino che lavorava anche lui in cantiere, disperato e piangente perché era morta la moglie con i due figli, che dire…… . Forse è l’unico che ho visto piangere, il dolore aveva paralizzato tutti. Sono presenti in cantiere il geom. Antonello Bonanni e l’assistente Antonio Arsena arrivati sin dalla mattina, in cantiere vedo anche l’ing. Tommaso Buttiglione dell’Ente Irrigazione e Direttore dei lavori arrivato da Bari. Con l’ng. Buttiglione vado a vedere la situazione della casa di Guardia sulla collina, posta sotto l’abitato di Conza, in corrispondenza di una spalla della diga in costruzione. La casa era già stata completata ma solo la diga era stata progettata nel rispetto delle norme antisismiche mentre la casa di guardia non lo era, al pari delle varianti stradale e ferroviaria, in quanto Conza non era classificata come Comune sismico! Non si possono infatti eseguire opere pubbliche antisismiche in zone non classificate sismiche, ci sarebbe spreco di denaro pubblico e questo è sanzionabile. Solo il rilevato diga lo era, ed era frutto di una prescrizione prudenziale del Servizio Dighe del Ministero dei Lavori Pubblici. Troviamo infatti la casa di guardia dissestata e parzialmente crollata. Il letto della camera, in cui abitualmente dormivo quando ero presente in zona e che avrei utilizzato per dormire la sera del lunedì, era schiacciato dalle macerie del muro esterno.
Ore 13.30 - Ritornato in cantiere mi metto a tracolla la radio ricetrasmittente, mi faccio condurre con un’auto verso l’abitato di Conza e mi faccio lasciare all’inizio del paese. Cielo terso, sole nitido, non si nota la presenza di alcun mezzo di soccorso, vi sono quasi soltanto i superstiti che scavano ancora tra le macerie con pale e picconi o a mano e vedo anche dei soldati.
Sono ormai passate 18 ore dalla scossa ed i superstiti con le loro mani hanno soccorso i sepolti e sono esausti. All’altezza della piazza con la Croce, dove c’era il bar, stanno scavando 6-7 persone e tirano fuori molti morti. Il resto è silenzio. Mi viene incontro piangendo la giovane moglie del rag. Raffaele Farese, è assieme alla madre ed è difficile poterla confortare. Mi dice che è stata anche lei sotto le macerie della casa, sepolta non lontano dal marito ed è uscita viva assieme al figlioletto, lui è morto. Mi dice che mentre erano sotto le macerie parlavano tra di loro ed il marito ha anche avuto il pensiero di indicarle dove si trovavano le carte della Ferrocemento! Era il ragioniere del cantiere e coadiuvava il rag. Rodìa. Vedo alcune persone che ancora scavano tra le macerie per recuperare i sepolti. Alcune donne con grandi fardelli fatti con lenzuola e portati sul capo si allontanano portando gli oggetti recuperati. Mi lascia agghiacciato la vista dell’edificio comunale che si stagliava nitido in una piazza sopra il viadotto e che non c’è più…….solo cumuli di macerie. In una di quelle case abitava con l’anziana madre l’operaio Cappetta, morti ambedue. Anche la Chiesa è distrutta… sulla facciata, in una nicchia, una piccola statua della Madonna è al suo posto in piedi …….. Mentre salgo vedo all’opera Alfonso Cerracchio, un caposquadra impegnato nei lavori della diga, che lavora da solo con pala e piccone per tirare fuori un sepolto. Saprò poi da lui che da solo dal momento del terremoto non si è fermato mai ed ha tirato fuori dalle macerie 34 persone! In quel momento sta cercando di estrarre un parente, ferito grave, intrappolato sotto le macerie, in quel momento il corpo è libero solo in parte. I soccorsi esterni sono rappresentati al momento da una ventina di soldati, con il basco nero, arrivati non so da dove, che muniti di pala e piccone lavorano con il massimo impegno a gruppetti di 3-4. Scavano per recuperare i feriti ed i morti. In mezzo a quel mare di rovine mi colpisce vedere un vaso di fiori di terracotta intatto poggiato sul davanzale di una finestra di una casa diroccata. Arrivo costeggiando il paese dal lato del ristorante di Michelina, edificio completamente integro e posto in una curva panoramica, e mi incammino verso il piazzale posto sulla sommità del paese dove c’ è il serbatoio pensile dell’acqua ed il campo di calcio.
Ore 15.00 Qui vedo una situazione molto eterogenea. Ci sono nelle vicinanze persone che scavano per soccorrere, sulle panche e anche per terra ci sono alcune persone ferite fasciate alla meglio o morte mentre da un lato ci sono 7- 8 persone medici – infermieri in camice bianco che parlano tra di loro e fumano. Sul campo di calcio vi è un grosso elicottero con il motore acceso che carica alcune barelle e va via, da un lato vi sono 20-30 persone inebetite che guardano il tutto. Mi riconosce Gioacchino Tufano, con il suo pesante giaccone di pelle marrone, mi viene vicino, mi dice che sono morti quattro suoi familiari, mi chiede se possiamo tirarli fuori dalle macerie. Gli dico la situazione…… al momento ci sono solo io …… Tace sconvolto e non mi dice altro. Per un po' guardo come procedono le cose, ognuno agisce per conto suo. Decido di intervenire, mi rendo conto che ci vuole uno che coordini, che parli con tutti ….. Vado dagli infermieri (e medici) e dico loro se non è il caso di dare assistenza ai feriti, per terra abbandonati a sè stessi, ed a quei pochi ancora sotto le macerie. Mi viene risposto mentre guardano l’orologio che è tardi ed è finito il loro turno di lavoro e debbono rientrare !! (a Sant’Andrea di Conza? a Pescopagano?). Forse sono esausti ma rimango lo stesso attonito! Con il radiotelefono parlo con il cantiere, confermo di aprire le baracche e ospitare tutti i superstiti di Conza che chiedono alloggio e mettere a disposizione tutto quello di cui disponiamo.
Sul piazzale rimango io e qualche persona volenterosa. C’erano 2-3 barelle con morti sopra, assieme spostiamo a terra i morti nel campo di bocce e ci mettiamo sopra i feriti. Arriva un grosso elicottero che atterra sul piazzale, motore acceso, pale in lenta rotazione, ma non carica i feriti…..vado dal comandante, mi presento, e gli chiedo perché….mi porge dei moduli, vuole i nomi dei feriti da trasportare e una dichiarazione di responsabilità per i trasportati da parte mia ……io gli dico che posso solo inventare dei nomi di fantasia ……lui capisce e li carica ……gli dico di richiedere un grosso elicottero per la mattina seguente nel piazzale di cantiere per soccorrere i feriti che verranno ancora recuperati …lo fa e mi conferma….gli dico di lasciarmi le barelle disponibili che ha sull’elicottero…. mi dice che non può sono in dotazione all’elicottero… gli dico dove mettiamo i feriti, per terra? di farsi autorizzare a lasciarle …. lo fa. Lo autorizzano …scaricano le barelle, carica i feriti e vola via. Dopo poco arriva un piccolo elicottero dell’esercito scarica tre persone in divisa. Sono un giovanissimo tenente dell’esercito e due giovani finanzieri e va via. I tre vengono da me e mi chiedono cosa debbono fare. Ai due finanzieri dico di dare una mano dove c’è bisogno. Sul berretto del giovane tenente, vedo la crocetta rossa, è un medico per cui dico di dare una qualche assistenza ai feriti. E’ preoccupato, mi dice di non essere in grado di farlo, gli dico che essendo medico lo fa senz’altro meglio di me che sono ingegnere. Poco dopo andrà giù in cantiere con un piccolo elicottero ed un ferito. Al comandante di un elicottero chiedo come si può realizzare un punto di atterraggio sicuro per gli elicotteri evidenziando il cantiere. Il pilota me lo spiega e via radio lo faccio realizzare disegnando con la calce sul rilevato della diga in costruzione una H con le due stanghe di 8 metri distanziate di 3 metri. I feriti rimasti vengono tutti sgomberati. Le persone sane si allontano. C’è un fuoco acceso a terra, mi scaldo un poco. Arrivano due soldati con una barella su cui c’è un morto. Gli dico di metterlo nel campo di bocce a terra e recuperare la barella. Arriva un ferito ed una esile vecchina, forse di 90 anni, che non si muove ma è viva. E’ portata in braccio da un soldato. La faccio adagiare provvisoriamente in un lettino da bambino con le sponde in rete trovato li. Arriva un altro morto in una barella portata dai soldati e c’è con loro anche un medico militare che mi chiede morfina per un ferito ….. io gli dico che non ho nulla ….. In quel momento arriva uno strano gruppo costituito da un ferito su una barella portata da soldati, un uomo con le braccia cariche di libri ed una donna. Chiedo all’uomo con i libri chi fosse e mi dice che è un medico …. (mi dice anche il cognome, è scolpito nella mia testa ma……non lo scrivo e preciso che non era il dott. Cantarella prodigatosi per i suoi compaesani) …. pensa ai suoi libri e non ai feriti. Mi dice che il ferito è il padre, gli chiedo perché, essendo medico, non presta soccorso ai feriti. Non mi risponde. Mi chiede invece un elicottero per allontanarsi e portare via il ferito, la madre, sé stesso ed i libri. Gli rispondo che con il prossimo elicottero sarà soccorso solo il padre ferito e niente altro. Gli sfugge, sentendo la richiesta dei soldati, che lui a casa ha la morfina a casa ma non entra nella casa lesionata per paura dei crolli. Un soldato si offre di recuperarla e lui lo accompagna. Trovata la morfina viene data al medico militare. Mi giunge voce che è noto che sotto le macerie ci sono ancora 3-4 persone tra cui un giovane ferito ma ancora incastrato sotto le macerie. Arriva nel frattempo sul piazzale un piccolo elicottero militare guidato da un giovane tenente dai capelli bianchi. Carica un ferito e gli dico di portarlo giù in cantiere e di tornare anche se il buio sta calando. Il tenente mi dice che al buio non riesce a volare e quindi non può tornare. Gli dico della situazione del giovane che si sta estraendo con tanti sforzi e che se non sarà portato via in un ospedale resterà all’aperto senza soccorsi al freddo e quindi lo condanniamo a morte certa. Gli dico che sarà sufficiente vedere qualcosa quando torna dal cantiere, poi quando ripartirà va su verso il cielo. Si convince e dice che tornerà…… Nel frattempo arrivano diversi poliziotti della celere, vengono da Vibo Valentia, stavano tirando fuori i morti (circa 40) da un treno scontratosi a Lametia Terme il 21 novembre e li hanno dirottati qui per sostituire i soldati. L’elicottero torna, cerco di aiutarlo all’atterraggio guidandolo con le braccia, orizzontali…inclinate … memore dei film che ho visto, poco dopo arriva in barella, trasportato da soldati, il ferito che viene caricato. Prima di decollare il tenente pilota mi chiede “in che direzione é Battipaglia, Salerno…..! “ Glielo indico con il braccio puntato! Gli do alcuni messaggi di trasmettere alla Ferrocemento, gli dico di richiedere un grosso elicottero per la mattina presto in cantiere per evacuare i feriti (arriverà). Vola via. Avrei tanto piacere di rivedere quel coraggioso pilota che ha senz’altro salvato una vita. Il tenente medico, quello della morfina, mi dice che va via, accompagna con l’ambulanza un ferito all’Ospedale di Battipaglia.
Ore 19.00 Resto solo io sul piazzale e . . qualche morto. Tutto è avvolto dal silenzio totale. Sono passate 24 ore dal terremoto e non c’è più nessuno. Ora penso sia giunto il momento in cui anche io possa cercare personalmente eventuali superstiti e scavare dove c’è bisogno. Mi aggiro tra le macerie e raggiungo Alfonso Cerracchio che sta ancora scavando in aiuto alla stessa persona. E’ buio e non si vede quasi più, chiedo via radio in cantiere di portare della lampade a pila, si scava anche rimuovendo macerie a mano …il ferito viene liberato, ma morirà. Nel frattempo arrivano due gruppi elettrogeni dell’esercito che si piazzano in basso vicino al ristorante Michelina ma non ce ne è quasi bisogno perché una spettrale luna piena illumina a giorno questo tragico scenario di morte e di distruzione. Conza è così illuminata a giorno, ancora la vedo ……è un cumulo di macerie avvolto in un silenzio agghiacciante. Mentre percorro un sentiero battuto tra le case diroccate, sopra il ristorante di Michelina, sento una voce di donna che dice “sono Teresa tiratemi fuori, aiuto….. “ ma non si vede nessuno. Chiamo alcune persone ed alcuni militari della Celere che accorrono e con grande coraggio si infilano nelle case vicine semi diroccate. Cerchiamo senza esito, la voce si ripete ed alla fine la localizziamo. Con sorpresa ci accorgiamo che incredibilmente viene da sotto i nostri piedi cioè dalle macerie minute compattate dal passaggio delle persone e diventate uno stradello di calcinaccio battuto. Come è possibile …. comunque iniziamo a scavare con l’unico strumento che abbiamo cioè le nostre mani. Dopo poco sotto le mie mani appena 10 cm. sotto il piano di calpestio compare un tessuto scozzese a righe incrociate che si muove ritmicamente, un corpo vivo che respira. Indimenticabile. Piano piano la liberiamo. Era una donna piuttosto anziana cascata supina con la bocca sotto, tramortita, aveva perso i sensi per circa 24 ore, praticamente era sepolta viva. L’abbiamo tirata fuori e, fortunatamente, è sopravvissuta.
Ore 21.30 Continuo a girare tra le macerie e davanti a quello che era il bar c’è una campagnola dell’esercito che distribuisce buste di latte (sulle buste c’era scritto “Centrale del latte di Potenza”). Non ho mangiato nulla dalla sera precedente, la prendo, bevo ed invece è acqua. Glielo dico, i due soldati ci rimangono male ed erano davvero dispiaciuti perché l’avevano distribuita in tutti i paesi attraversati dicendo che era latte ed immaginavano la delusione in particolare per i bambini. Anche l’acqua è necessaria, gli dico, in compenso però mi danno una tavoletta a blocco di vera cioccolata fondente che è stato il mio pasto della giornata.
Ore 22.30 Ritorno tra le macerie, all’interno del paese, non c’è quasi più nessuno e trovo tre persone piuttosto giovani che scavano alacremente. Chiedo cosa cercano. Mi dicono che cercano il corpo di un parente. Per un poco li aiuto ma poi, vedendo come si comportano, mi viene qualche brutto sospetto, qualche dubbio su cosa effettivamente stavano cercando per cui li lascio e me ne vado.
Ore 23.30 Mi faccio venire a prendere dal cantiere. ho fatto quello che potevo per dare un aiuto. Sotto al paese di Conza incontro un’auto con 2-3 persone. Uno è un funzionario del Ministero degli Interni mi chiede “…di cosa avete bisogno a Conza ?“ E’ la prima presenza dello Stato che vedo. Rispondo che sono arrivato da Roma la mattina e che personalmente non avevo bisogno di niente mentre gli abitanti superstiti avevano solo i vestiti che indossavano al momento del terremoto e quindi avevano bisogno di tutto, a cominciare dalle bare (gliene chiedo 300). Mi dice "ma come? se i morti del terremoto sono in tutto 50 “, come infatti diceva ancora la radio il lunedì sera (le vittime del terremoto saranno in realtà circa 3.000). La tragica realtà gli dico è un'altra. Le 300 bare arrivano a Conza dopo due giorni e fortunatamente saranno più del necessario (i morti di Conza saranno 182). Arrivano senza lo stagno per sigillare le casse zincate, mando una pattuglia della polizia stradale a Foggia a prenderlo. Ci vanno …….e lo portano.
Ore 24.00 Vado a dormire in una stanzetta nelle baracche di cantiere e mi accorgo di essere quasi digiuno. Sono dispiaciuto di perdere delle ore con il sonno e non fare altro ma sono sfinito. Durante la notte ricordo però il tintinnio del letto di ferro che saltava sul pavimento di cemento per le repliche del terremoto.
Ing. Gianfranco Castellano